Quanto costa l'assenza di fiducia?



C'è tanto lavoro da compiere, da parte di tutti gli attori coinvolti nel mondo del risparmio, consulenti, istituzioni finanziarie e risparmiatori. Queste sono le considerazioni che saltano alla mente leggendo IL RAPPORTO CONSOB 2019 SULLE SCELTE DI INVESTIMENTO DELLE FAMIGLIE ITALIANE :
La pianificazione finanziaria è ancora poco diffusa: gli obiettivi di spesa vengono identificati in modo sequenziale uno per volta e la motivazione al risparmio prevalente è quella precauzionale…”                                                                                                                                                                              Gli avvenimenti degli ultimi 10 anni, come la crisi finanziaria globale che ha portato al fallimento Lehman Brother legato ai muti sub-prime e la crisi del debito sovrano in Europa, non hanno certo aiutato i risparmiatori, che risparmiano sempre di più, ma hanno paura di investimenti che presentino una forma anche minima di rischio. Gli italiani oggi, delusi dalle due storiche passioni, Bot e mattone, detengono circa 1.400 miliardi di euro (il 33,3% dei 4.200 miliardi di euro) parcheggiati su conti correnti e conti deposito. Attraverso una corretta allocazione di questa enorme massa di liquidità, potremmo immunizzare le famiglie italiane dai tipici rischi del ciclo di vita che generano paure che le attanagliano nella vita quotidiana, migliorando il loro benessere ed indirizzando le risorse finanziarie che vengono liberate, verso un modello di crescita economica del Paese che possa coinvolgere i risparmiatori stessi, ridisegnando un Welfare che ormai oggi è quasi del tutto inefficace o assente. L’Educazione Finanziaria, questa è la sfida da raccogliere per poter correggere questa distorsione nell'ambito del processo d’investimento, che brucia opportunità e preziose risorse. Una sfida che passa attraverso un percorso obbligato, che si chiama fiducia. E’ da qui che bisognerebbe ripartire, attraverso modelli finanziari di consulenza e distribuzione fondati sull'etica professionale, per poter riconquistare il terreno perduto. A tal proposito consiglio la lettura di questo interessante articolo, del 14 Gennaio 2020, postato all'interno del sito di Axa Investment Managers





                      Fuga di capitali       
                                                                                  Francesco Guariniello: “Scelta emotiva


 5 novembre 2018                          

In quest’ultimo periodo si rincorrono le voci relativamente ad una possibile patrimoniale, scatenando le ipotesi più disparate, e le paure dei detentori di ricchezza, che potrebbero materializzarsi principalmente attraverso prelievi forzosi sui conti correnti o con nuove tassazioni mirate a determinate entità o forme di patrimonio. A tal proposito può essere utile leggere le considerazioni dell’esperto in materia Francesco Guariniello, avvocato con specializzazioni in ambito finanziario e patrimoniale.
 Ci risiamo, dopo un’apparente periodo di tranquillità, i risparmiatori italiani sembrerebbero aver imboccato nuovamente l’autostrada dei laghi, direzione Svizzera, per richiedere informazioni relative ad aperture di nuovi rapporti bancari. In altri termini, dopo gli anni della voluntary disclosure che hanno permesso l’emersione di capitali ed in parte il loro rientro, soprattutto dai limitrofi territori svizzeri, attualmente il trend, potrebbe invertirsi nuovamente (a sentir la voce di operatori finanziari, alcuni “di parte”). È bene precisare subito che in questo caso poco o nulla rileva l’antica e deleteria “tradizione” di far espatriare capitali nazionali all’estero in modo illegittimo, giacché la causa di questa ipotetica rinnovata tendenza è da ricercare nell’acuirsi della crisi finanziaria del nostro Paese, che ad oggi, non appare così profonda. Cerchiamo di fare chiarezza su alcuni punti, che in questa sede non possono che essere affrontati molto sinteticamente, valutando se sia proprio necessario aprire rapporti bancari all’estero per mettere al riparo il nostro patrimonio mobiliare, tralasciando ogni altra valutazione ed ipotesi.
È evidente che ciò che oggi sembrerebbe indurre un investitore italiano a porre in essere un trasferimento di capitali in Svizzera è riconducibile al rischio Paese ed al possibile nocumento che i propri patrimoni subirebbero dall’acuirsi di una possibile crisi finanziaria.
In sintesi il rischio qualora:
1) lo scontro dialettico con l’UE sia destinato a divenire così profondo da spingere il Paese (poco importa se su pressione altrui o autonomamente) ad abbandonare la moneta unica, il c.d. “redenomination risk”;
2) la crisi si protragga per un tempo tale da mettere in difficoltà la nostra finanza pubblica così da costringere il governo italiano (chiunque esso sia in quel momento) ad adottare misure forzose per rimpinguare le casse dello Stato.

Relativamente alla prima considerazione, premesso che ritengo altamente improbabile l’abbandono dell’area euro da parte del nostro Paese, i nostri risparmiatori dovrebbero essere a conoscenza (mettendo da parte l’ipotesi di un c/c in valuta estera), che il possedere, mediante un deposito titoli, ancorché di intermediario italiano, strumenti finanziari in euro (o diversificato in altra valuta, qualora si ipotizzi una disgregazione totale della moneta unica), non emessi da Enti privati o pubblici nazionali (si pensi ad una semplice sicav lussemburghese con relativa banca depositaria), in altri termini strumenti finanziari regolati da giurisdizione non italiana, è sufficiente per neutralizzare il rischio di ritrovare i propri asset mobiliari ridenominati nella “nuova” lira.
D’altra parte una corretta pianificazione patrimoniale dovrebbe consigliare di detenere quantità minima di liquidità sui c/c (ben al di sotto dei 100mila euro, tale da essere garantiti anche qualora si dubiti della solidità patrimoniale di qualche intermediario bancario alla luce anche del fenomeno c.d. “doom loop”, posto che secondo dati Banca d’Italia, i titoli di Stato italiani detenuti dal sistema bancario è pari a 372 mld di euro). Infine ricordo, per quanto concerne il rischio di ridenominazione di valuta dei nostri BTP (estromettendo qualunque altro ragionamento di natura economico-finanziaria), che le emissioni dal 2012 soggiacciono alle clausole CACs e che pertanto ogni modifica ai termini, condizioni nonché accordi dei titoli (es. ridenominazione), dovranno essere approvate dagli obbligazionisti (si tralasciano i particolari). Ciò per dire quindi che, anche per alcune emissioni dei “temuti” BTP, non è così scontata un’automatica ridenominazione in lira (con conseguente potenziale svalutazione) nell’ipotesi per ora “inverosimile” di fuoriuscita dall’area euro.
Per quanto concerne invece il rischio del prelievo forzoso a garanzia della “tenuta” del nostro sistema finanziario tout court inteso, il pensiero di molti italiani corre al D.L. n. 333/1992 ed all’imposta straordinaria del 6 per mille sui depositi bancari e postali. Oggi potrebbe essere applicata nuovamente? Ebbene, premesso che la Corte Costituzionale con sent. n.143/1995 ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla CTP di Roma relativo all’art. 7 del D.L. n.333/1992, ritengo doveroso solo segnalare che, quand’anche si progettasse qualcosa di simile al 1992, epoca quasi preistorica se confrontata all’evoluzione dei mercati finanziari e al contempo degli stessi strumenti di controllo e indagine in possesso delle Autorità, perché l’ipotetico provvedimento legislativo, non rischi di violare i nostri principi costituzionali, dovrebbe avere un’ampiezza oggettiva e soggettiva che non dovrebbe prescindere questa volta da tutti i soggetti coinvolti ( banche italiane ed estere), in considerazione di un’evoluzione del nostro diritto vivente univoco nel contrastare forme di elusione fiscale, nonché di un quadro regolamentare internazionale ormai diretto sempre più, a stringenti forme di collaborazione tra Stati.
In sintesi, ricordo al lettore che, ai sensi dell’art 3 del T.U.I.R. i redditi dei soggetti passivi residenti sono assoggettati all’I.R.P.E.F. secondo il principio del “worldwide income”, in altri termini secondo i redditi ovunque posseduti. Laddove invece si prenda in considerazione l’ipotesi di applicazione di un’imposta “patrimoniale” (simile al provvedimento del 1992), è bene ricordare che già dal 2011, attraverso il D.L. n. 201/2011, il nostro ordinamento tributario ha istituito un’imposta sul valore delle attività finanziarie (IVAFE) detenuti all’estero dalle persone fisiche residenti nel territorio dello Stato. Inoltre, oggi il risparmiatore italiano deve essere consapevole che aprire un rapporto bancario in Svizzera non costituisce più un possibile schermo per l’attività informativa e di controllo posta in essere dal fisco italiano. Da settembre 2018 la Confederazione ha dato attuazione all’adesione degli standard OCSE dello scambio automatico di dati fiscali (Common Reporting Standard – CRS) con 38 Paesi tra cui l’Italia che in tal modo potrà collaborare attraverso diversi strumenti giuridici:
1) “richieste di gruppo” o isolate in base a quanto previsto dall’articolo 27 della Convenzione bilaterale Italia –Svizzera sulle doppie imposizioni modificata con protocollo del 23/02/2015 e ratificato con l. n. 69 il 4/05/2016;
2) la cooperazione spontanea;
3) lo scambio automatico di informazioni finanziarie.

Ricapitolando, i contribuenti italiani, che posseggono attività finanziarie ed adempiono in fase di dichiarazione e monitoraggio fiscale ai rispettivi obblighi, sono già evidentemente individuati dall’amministrazione fiscale per eventuale assoggettamento ad un’ipotetica imposta straordinaria. Coloro che invece continuano a possedere asset mobiliari evitando di denunciare gli stessi all’amministrazione finanziaria italiana, dovranno fare i conti con le recenti normative innanzi descritte. Legittimamente quindi si potranno aprire rapporti bancari e trasferire il proprio patrimonio mobiliare in Svizzera ma è bene sapere che attualmente il quadro operativo degli intermediari bancari dei nostri vicini di casa è mutato.
In conclusione trasferire i capitali legittimamente presso banche estere, al fine di proteggerli dal rischio Paese è scelta razionale o emotiva? Prescindendo da qualunque altra valutazione di ordine economico – finanziario (si pensi a un cambio radicale di vita con trasferimento personale all’estero, o al possesso di asset mediante società fiduciaria…), ricordo che spesso (o forse è il caso di dire sempre) gli investitori non decidono secondo i principi della teoria della razionalità economica e pertanto l’eventuale decisione di trasferire i propri asset mobiliari verso lidi stranieri per evitare il suddetto rischio, sembrerebbe sfuggire a un’analisi ponderata dei reali rischi e diviene fenomeno comprensibile attraverso gli schemi tipici della behavioral finance.


          

Guarda il primo di una nuova serie di tutorial realizzati con l'obiettivo di aiutare i risparmiatori a fare scelte sempre più consapevoli, nella gestione delle proprie risorse finanziarie:                                               La Pianificazione Finanziaria della Famiglia

Il Consulente Finanziario: L'Acchiappasogni


                                                   
       

L'Acchiappasogni, in inglese Dreamcatcher, ha avuto origine dalla cultura degli Ojibwa, un popolo del Nord America che abitava un tempo l'attuale Michigan. Vederlo muoversi al vento, davanti ad una finestra, è uno spettacolo affascinante: da l'impressione che una presenza invisibile vi stia soffiando sopra.
Gli Acchiappasogni non hanno niente a che spartire con lo spiritismo, al contrario sono degli strumenti di protezione. I nativi americani ne costruivano uno per ogni loro figlio e lo appendevano sopra la culla. Avevano lo scopo di catturare gli incubi e di permettere ai bambini un sonno tranquillo, proteggendoli fino al risveglio. La sua costruzione non è lasciata al caso.
Qual'è la funzione della rete? Semplice. Come dice la leggenda tramandata dai Lakota Sioux " Se credete nel Grande Spirito, la rete tratterrà le vostre visioni buone, mentre quelle cattive se ne andranno attraverso il buco".
Ecco, è proprio questa leggenda tramandata che ricorda la figura ed il ruolo del Consulente Finanziario, l'Acchiappasogni, cioè colui che grazie ad una attenta ed accurata conoscenza dei sogni e dei bisogni del proprio cliente, si occupa del raggiungimento e del loro soddisfacimento, neutralizzando gli impatti degli eventi che potrebbero minare la realizzazione del  piano finanziario.
Così come la rete dell'Acchiappasogni lascia passare le visioni cattive, trattenendo quelle buone.

A PROPOSITO DI ..


La mia opinione, a proposito di Bail-In e fiducia, attraverso l'intervista da me rilasciata  alla rivista bimestrale MyAdvice, all'interno della consueta rubrica "La Voce dei Professionisti della Finanza"




RISCHIO E RENDIMENTO: L’UNO O L’ALTRO?


Ogni qualvolta un investitore deve investire i propri risparmi, è solito formulare al suo interlocutore, sempre la solita premessa: “non voglio rischiare”.

Probabilmente, questa lunga epoca di tassi bassi sulla remunerazione della liquidità, ha finalmente reso consapevole il risparmiatore riguardo alla certezza che non esista alcun alto rendimento che non sia accompagnato ad un altrettanto alto rischio.
Ha finalmente capito che, farsi guidare dagli alti rendimenti passati, nella scelta dei prodotti d’investimento per i propri risparmi, determina disastri e dolorose perdite di denaro.

Questa nuova consapevolezza è estremamente positiva e rappresenta uno dei pilastri dell’approccio consapevole all'investimento, perché, per scegliere fra diversi strumenti finanziari a disposizione, è innanzitutto necessario capire quanto si è disposti a rischiare.

Rimane, però, un forte dubbio: quanto è realmente consapevole l’investitore medio italiano?
Cioè, è consapevole del fatto che NON ESISTONO STRUMENTI D’INVESTIMENTO PRIVI DI RISCHIO, perché questo rappresenta il costo per far crescere i propri risparmi ?

Prima di cercare di dare qualunque risposta, probabilmente dovremmo porci una primaria domanda: cosa si intende per RISCHIO?

Senza voler essere didattici, da un punto di vista finanziario, esistono quattro tipologie di rischio:

Rischio di mercato (volatilità)

Rischio di perdita, correlato alle fluttuazioni del valore di mercato del portafoglio o del singolo strumento finanziario

Rischio di controparte

Rischio di default di una controparte che non è in grado di rimborsare il credito, che spesso si traduce in una perdita totale.

Rischio di liquidità

Rischio di impossibilità temporanea a vendere un titolo, a causa di vincoli contrattuali posti al momento della sottoscrizione

Rischio default di obiettivo

Il Rischio che quanto si sia accantonato ed investito, risulti a scadenza insufficiente a soddisfare un prestabilito obiettivo, per via di rendimenti non adeguati.

Purtroppo, molto spesso, l’investitore preoccupato dal solo rendimento, trascura il Rischio di controparte, proprio il più importante, in grado di causare anche perdite pari al 100% delle proprie disponibilità.

Ignora totalmente il Rischio default di obiettivo, molto pericoloso poiché si manifesta a distanza di tempo, solo nel momento in cui si è giunti a ridosso dell’obiettivo da raggiungere, non lasciando alcuna possibilità di rimedio.

Tutto ciò avviene poiché l’attenzione del risparmiatore è quasi tutta concentrata sul Rischio di mercato.

Questo ci fa comprendere come, comunemente, IL RISCHIO VENGA INTESO COME PERDITA DEL PROPRIO DENARO, cioè una vera e propria decurtazione dei propri risparmi, legata al minor valore dell’importo liquidato al momento dello smobilizzo dell’investimento.
Questa equivalenza è certamente frutto delle tante e amare esperienze di tutti coloro che, investendo i propri risparmi, hanno conseguito gravi perdite, non comprendendo le reali motivazioni del danno finanziario patito.

Poco o nulla è stato fatto dagli intermediari per far capire loro quanto sia errata questa credenza; eppure, nelle svariate letture dei prospetti informativi, alle quali è stato sottoposto nel tempo, il risparmiatore si è ritrovato spesso di fronte alla corretta definizione di ciò che comunemente egli intende per RISCHIO:           il termine VOLATILITA'.

Infatti, oltre che la sua struttura, a caratterizzare ogni strumento finanziario è innanzitutto la sua volatilità in un orizzonte temporale, e cioè la sua capacità massima di diminuire od aumentare in un determinato periodo di tempo.
Tanto più alta è la volatilità di uno strumento finanziario, tanto più alta è la probabilità che un investitore possa smobilizzare un investimento ad un valore di mercato più basso rispetto a quello di partenza.

Quindi, ciò che comunemente viene inteso come RISCHIO DI PERDITA, altro non è che LA POSSIBILITA’ DI LIQUIDARE IL PROPRIO INVESTIMENTO PRIMA DEL SUO NATURALE CICLO DI VITA (orizzonte temporale) AD UN VALORE PIU’ BASSO DI QUELLO ATTESO

In realtà, il nostro miglior alleato nell’investimento dei risparmi, è proprio ciò che più spaventa i risparmiatori: la VOLATILITA’.

Attraverso la visione delle prossime tre immagini, che descrivono l’andamento, il rendimento e la relativa volatilità negli ultimi 25 anni, di 3 importanti fondi d’investimento (dei quali non farò il nome), si può facilmente comprendere come LA VOLATILITA’ SIA UNA VALIDISSIMA ALLEATA per il raggiungimento di rendimenti utili a conseguire determinati e fondamentali obiettivi di vita.

GESTIONE OBBLIGAZIONARIA



GESTIONE BILANCIATA


GESTIONE AZIONARIA


Come si evince dai tre grafici, al crescere del rendimento si genera una crescita più che proporzionale della volatilità. Sono cioè, due elementi indissolubili.

Se qualcuno avesse investito 100.000 euro a Gennaio 2007 utilizzando il terzo dei tre strumenti, con l’obiettivo di acquistare una casa a Dicembre del 2008, avrebbe dovuto poi rimandare la sua decisione di smobilizzo, ed attendere Gennaio 2009 per non incorrere in una perdita di circa il - 40%.
Avrebbe però ugualmente sbagliato, chi avesse investito 100.000 euro usando il primo dei tre strumenti, per un obiettivo posto a 25 anni (ad esempio per una rendita ad integrazione del reddito futuro).Il risultato, infatti, sarebbe stato quello di una differenza di minor rendimento pari al 965% ( 1223% - 258% = 965% e cioè a scadenza pari a € 1.223.000 - € 258.000 = 965.00 euro !!!! ) un errore che potrebbe poi aver cambiato completamente il suo destino.

Che scelta fare quindi, per un giusto investimento?

La risposta giusta potrebbe essere in un'altra domanda: perché scegliere tra rendimento e volatilità?
Perché non utilizzare entrambi?

Per convincersi di questo, basterebbe capire qual è il costo, inteso come mancato rendimento, dell’utilizzare strumenti finanziari privi di volatilità per soddisfare obiettivi finanziari di lungo termine o, ciò che è lo stesso, qual è il costo, in termini di gravi perdite in conto capitale, imputabile all’utilizzo di prodotti d’investimento ad alta volatilità, non idonei a conseguire obiettivi posti in orizzonti temporali di breve termine.

Come dosare dunque il RISCHIO ed il RENDIMENTO?

Certamente con un corretto approccio all’investimento, ma soprattutto affidandosi ad un consulente esperto in PIANIFICAZIONE FINANZIARIA, per poter redigere il proprio progetto di vita.

Solo ed esclusivamente attraverso una corretta PIANIFICAZIONE FINANZIARIA, che comporta un’attenta analisi del proprio ciclo di vita e l’individuazione delle proprie uniche e soggettive esigenze, ci si può tutelare dal RISCHIO di smobilizzare investimenti prima che abbiano dato i frutti attesi, o conseguire risultati a scadenza insufficienti

Si potrà così evitare di conseguire perdite in conto capitale e default di obiettivi, che potrebbero mutare il proprio futuro e bruciare risorse utili per il Paese, ormai sempre più incapace di provvedere alla mancanza di autosufficienza dei propri cittadini.

VIVERE ED ANDARE IN PENSIONE NEL “BELPAESE”


Probabilmente sarà vero: due indizi forse non fanno una prova. 
Ma ogni giorno le testimonianze che raccogliamo dal vivere quotidiano, urlano affermando il declino inesorabile del nostro Paese.  Se le considerazioni negative della gente a noi vicina, possono essere considerate soggettive e frutto di localizzazioni geografiche, non possono essere trascurate le ultime due importanti indagini fatte nel  2013 e nel Febbraio del 2014.

Nel rapporto How's Life? 2013  stilato dall’OCSE e divulgato a fine Novembre 2013, emerge infatti che il benessere non è più di casa nel nostro Paese, che scivola al 29° posto su 34 Paesi.   In Italia (-12%) si è registrato lo scivolone di soddisfazione maggiore tra le Nazioni coinvolte nell’indagine, alle spalle della sola Grecia (-20%) devastata dall’austerity.

 Infatti, ciò che viene fuori è l’immagine di un italiano con sempre più sfiducia nelle istituzioni, sempre meno soddisfatto del proprio benessere, alle prese con differenze di genere che si ampliano sempre di più e, caratteristica unica nell’indagine, con il peso della propria casa ormai divenuto insostenibile.

Ma in questo insieme di dati negativi emerge anche l’aspetto migliore degli italiani, e cioè l’aumento di diverse forme di solidarietà ed impegno sociale, cresciuto di un + 22%, di gran lunga superiore a quello degli altri Paesi.


La tabella seguente mostra come si colloca l’Italia per ognuno degli 11 indicatori rispetto ai 34 Paesi considerati:

Il rapporto    How's Life? 2013


Il giudizio su “reddito e ricchezza”, ancora elevato, non deve trarre in inganno, poiché il declino dei redditi cumulati (-7%) tra il 2007 ed il 2011 è tra i maggiori dell’area Ocse. 
Indicatore peggiore è senza dubbio la percentuale molto bassa (42%) delle persone “molto soddisfatte” della propria vita, uno dei valori minori dell’indagine.

Il secondo indizio viene dal Global Retirement Index 2014 di Natixis Global Asset Management, che  prende in analisi 150 Paesi a livello globale circa la sicurezza finanziaria post-pensionamento e l’effettiva possibilità dei risparmiatori e degli investitori di raggiungere le proprie necessità e aspettative dopo l'età pensionabile. Lo studio si basa su 20 indicatori chiave appartenenti a quattro categorie: qualità del sistema sanitario; redditi e finanze personali; qualità della vita; fattori socio-economici.

 La combinazione dei vari indicatori offre una misurazione delle condizioni di vita e del benessere finanziario attesi da chi è già in pensione o da chi è in procinto di andare in pensione.  
Tra i 10 paesi meglio posizionati nella classifica Global Retirement Index 2014, otto sono europei, tra i quali i cosiddetti paesi "core": Svizzera, Norvegia, Austria, Svezia, Danimarca, Germania, Finlandia e Lussemburgo. Gli unici Paesi non europei a entrare tra i primi 10 sono Australia e Nuova Zelanda. Confrontando la ricerca con quella condotta lo scorso anno (Global Retirement Index 2013), i cambiamenti più significativi quest’anno sono rappresentati dall’Irlanda, che è salita dal 48° al 24° posto e dall’Islanda che si posiziona all’11° posto rispetto al 23° dello scorso anno. 

Risultano solo leggeri movimenti tra i paesi sviluppati della top 30 e L’Italia è scesa di 2 posizioni (dal 21° al 23° posto), dietro a Islanda, Belgio, Olanda, Francia, Repubblica Ceca, Slovenia e Repubblica Slovacca.   Non propriamente una posizione brillante per un paese del G8.

Il settore in cui l’Italia si distingue è la qualità della vita dei pensionati (indice di soddisfazione, fattori ambientali e climatici),  in cui è 15esima (sul podio Svizzera, Norvegia e Danimarca). Per ciò che riguarda il diritto alla salute e sistema sanitario per gli anziani (aspettativa di vita, copertura dell’assicurazione sanitaria, posti letto, servizi) siamo 19esimi (sul podio Austria, Germania e Francia). Infine, per benessere materiale (reddito, indice di disoccupazione) l’Italia è molto in fondo alla classifica, collocandosi al 30esimo posto (sul podio Norvegia, Lussemburgo e Austria).

Vero e proprio dramma invece per il nostro Paese è la fiducia nel sistema pensionistico che è fra le più basse in Europa,  soprattutto rispetto al periodo del proprio pensionamento, che include una serie di fattori come il mercato degli investimenti, la sostenibilità del sistema pensionistico, l’inflazione, i tassi d’interesse, la pressione fiscale e il debito pubblico (voce inserita per la prima volta nelle misurazioni 2014).

Il Belpaese si caratterizza per un'aspettativa di vita alta, relativamente bassi costi per la spesa sanitaria, con un elevato numero di medici pro capite, ma in linea con gli altri paesi sviluppati inseriti nella top 30, dove i vari governi nazionali sono alle prese con alti livelli di debito e continue pressioni finanziarie che fanno leva sempre più sui sistemi previdenziali, tanto che i futuri pensionati dovranno iniziare a pianificare oggi per far fronte a questi cambiamenti.

Tutti i Paesi, l’Italia in primis per aspettativa di vita, dovranno fronteggiare le sfide poste in essere dal crescente invecchiamento della popolazione. Gli eccessivi carichi finanziari, grazie a programmi di educazione finanziaria che coinvolgono cittadini/risparmiatori ed addetti ai lavori, potranno nel tempo essere spostati sempre più sulle spalle dei contribuenti, rendendo meno gravosa la situazione della finanza pubblica, che potrà così concentrarsi sull’erogazione di pochi servizi essenziali e di qualità. 

Per poter arrivare a realizzare questo, sarà necessario far capire ad ogni risparmiatore che non è più pensabile l’investimento mobiliare fine a se stesso ed in funzione del solo tasso, ma al contrario sarà indispensabile la pianificazione dei propri risparmi in funzione degli obiettivi di vita, identificando diversi portafogli d’investimento che puntino ad avere la giusta redditività, necessaria al raggiungimento dello scopo per il quale si risparmia. 

Ciò sarà realizzabile solo se verrà recuperata la fiducia dei cittadini nei confronti del sistema bancario e finanziario, che dovrà impegnarsi a riqualificare il rapporto con i propri utenti/risparmiatori attraverso la valorizzazione di quelle figure professionali al suo interno, quali i Family office o i Promotori Finanziari, che  sempre più negli ultimi anni stanno conquistando quote di mercato, a testimonianza di un crescente ed inevaso bisogno di consulenza finanziaria da parte dei cittadini italiani.